martedì 17 settembre 2013

LA TEORIA DELLA MENTE

3 sono le domande che possiamo porci quando parliamo dell'esperienza umana religiosa:
  1. perché siamo l'unica specie che crede in un mondo parallelo e ha una religione?
  2. che funzione ha la religione per i nostri antenati e in che misura questa continua ad assolverla?
  3. nella storia dell'uomo, quando è comparsa la religione? 
Prima di rispondere a queste 3 domande, che Robin Dumbar solleva, è necessaria una lunga introduzione.
Il più delle volte, durante le mie lezioni sulle prime unità didattiche inerenti argomenti quali “l’Io”, il “Sé”, le relazioni sociali o perché l’uomo, di aristotelica memoria, è un animale diverso, alcuni miei alunni, quando parlo dell’uomo come essere capace di utilizzare il cervello in modo del tutto peculiare rispetto a qualunque altro essere vivente, mi domandano: “Lei come fa a saperlo e soprattutto come può dimostrarlo?” “Il mio cane/gatto/cavallo è intelligentissimo”. In questi casi mi trovo a dover affrontare una sorta di ingenuità cognitiva. Il fatto che abbiamo la capacità cerebrale di fare tutti i calcoli necessari, non può farci asserire che anche tutti gli altri animali abbiano le stesse attitudini, o quanto meno che abbiano bisogno di una teoria della mente per poter operare correttamente nelle società in cui vivono. Vorrei approfondire questo tema per presentare le più recenti teorie sull’evoluzione umana, attingendo dalla biologia, dalle scienze cognitive, dalla paleontologia e dall’archeologia.
Alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, due genetisti americani -Vince Sarich e Alan Wilson- avanzarono l’ipotesi che l’origine comune a noi e alle scimmie antropomorfe dovesse essere fatta risalire a non più 3 milioni di anni fa, ma all’inizio tale orologio fu regolato male. I dati su cui fondavano questa proposta quasi scandalosa erano le somiglianze esistenti tra il codice genetico dell’uomo e quelli delle grandi scimmie antropomorfe africane. Dopo aver decifrato il codice genetico la scienza della genetica stava aprendo nuove frontiere a sconfinati orizzonti e così si giunse all’ipotesi che il DNA – le immortali molecole avvolte ad elica all’interno di ogni cellula vivente che recano con sé le informazioni necessarie per la formazione di nuovi organismi – potesse essere usato come orologio biologico. Tale idea nasce dalla constatazione che le strutture del codice genetico possono mutare nel corso del tempo. La causa di questo fenomeno è un’imperfezione nel modo in cui il DNA copia se stesso nel corso della riproduzione; tale processo è definito “mutazione”. Spesso, ma non sempre, tali mutazioni non hanno alcun effetto sull’organismo, e queste differenze, di importanza poco rilevante, si accumulano col trascorrere delle generazioni e finiscono per costituire il bagaglio genetico. Per intenderci, risulta che il nostro materiale genetico è composto da più di un miliardo di geni e di questi 30.000 sono attivamente coinvolti nella costruzione dell’organismo umano. Il resto, il DNA “spazzatura”, è la combinazione di elementi strutturali e di virus che si sono inseriti in modo parassitario nel nostro DNA nel corso del tempo a partire da quando la vita ha avuto inizio. Tale DNA “spazzatura”, non avendo nessun effetto sull’organismo, dimora tranquillamente nella sua tana molecolare percorrendo senza sforzo la sua strada evolutiva grazie all’abilità riproduttiva del suo ospite e non subisce effetti della selezione naturale. Quindi è soggetto solo ai processi interni di mutazione. Tale segmento di DNA fornisce la base per la misurazione dell’orologio molecolare di Sarich e Wilson. Come funziona? Il ritmo con cui si verificano questi mutamenti “occulti” si mantiene abbastanza costante nel tempo e il numero di differenze esistenti tra due qualsiasi individui rappresenta una misura approssimativa del lasso di tempo che intercorre evolutivamente tra essi, ossia che li separa dall’ultimo antenato comune. Allora da un lato si ha la selezione naturale influenzata da quei segmenti di DNA che fungono da codici per la formazione di una parte dell’organismo. Ciò avviene attraverso il successo o l’insuccesso della parte dell’organismo che influisce direttamente sulla possibilità del gene produttore d'essere trasmesso o no alle generazioni successive e dunque sotto la pressione della selezione naturale, il meccanismo che Darwin pose alla base del cambiamento evolutivo. D'altro canto accade che, se un gene non produce alcun effetto sull’organismo e la selezione non esercita alcuna pressione, negativa o positiva, le frequenze dei geni cambiano solo per graduale accumularsi di mutazioni. Questo è il processo di lento accumulo di errori di copiatura che Sarich e Wilson considerarono adatto a servire da orologio molecolare per ricostruire i tempi di separazione di linee evolutive strettamente imparentate. I genetisti avevano ragione e questo orologio funziona correttamente. Esso può essere usato per stabilire la data d’inizio della divergenza tra due linee evolutive. Gli esseri umani e le scimmie antropomorfe dei nostri giorni condividono un passato molto più recente. Le stime sull’ultimo antenato in comune all’uomo e agli scimpanzé indicano un lasso temporale che non supera i 5/7 milioni di anni. Dopotutto i primati sono in circolazione sul nostro pianeta da più di 65 milioni di anni. A ciò va aggiunto che gli scimpanzé hanno una relazione più stretta con l’uomo che con i gorilla e gli oranghi. Questa conclusione ha portato a rivedere la classificazione zoologica delle scimmie antropomorfe. In definitiva uomini e scimpanzé condividono il 98,5% del patrimonio genetico. In poco meno dell’1,5% dell’intero patrimonio genetico si nasconde la differenza tra l’umano e l’animale. In questo 1,5% troviamo il mentale ovvero: come so di sapere qualcosa? Ma com’è che soltanto noi umani possiamo fare questo? A questo punto il mio alunno mi chiederà: “come fa a dire che soltanto noi umani possiamo fare questo?”
Dopo aver affrontato il legame di parentela che unisce noi agli scimpanzé, nel prossimo approfondimento parleremo di cosa ci rende così diversi, da loro e da tutto il mondo animale.

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